LA GIUBIANA

25.01.2016 17:07

Tra Piemonte e Lombardia è conosciuta con diversi nomi: Giubiassa, Giubiana, Giobia, Giobbiana, Zobia, Zobbiana. Ma chi è questa figura che emerge dai racconti popolari dei nostri territori? Le leggende che si narrano, parlano di una vecchia strega e della sua malvagità, che trova la fine dei suoi giorni per mano di una donna che elaborò un ingegnoso tranello. Prima di raccontare la storia però, soffermiamoci su una serie di corrispondenze in cui la tradizione popolare trova forza e vigore. Questa festività, di indiscussa origine contadina e pagana, poggia le sue fondamenta sull'antica festività di Imbolc-Oimlec-Brigantia di origine celtica e successivamente, durante l'epoca romana, nell'adorazione di Giunone, sposa di Giove e madre degli déi. Proprio per questo motivo la ricorrenza cadel'ultimo giovedì del mese di Gennaio.

Ecco a voi la mia trascrizione, in versione fiabesca, della leggenda classica.

"In un tempo molto lontano le creature del buio e della luce camminavano su questa terra esattamente come facciamo ancora oggi noi esseri umani. Prima però erano in numero assai superiore, mentre ora, per difendersi dall'uomo, sono costrette a nascondersi e ad operare le loro malvagità o le loro benevolenze in forma più sottile, quasi invisibile. Solo in pochi percepiscono ancora questi spiriti e se non credi che esistano tutt'ora ti potrai ricredere ascoltando le antiche storie dei tuoi nonni e dei loro progenitori che rivivono ancora oggi nei piccoli paesi di campagna, in quelli alle pendici dei monti o in altri al limitar dei boschi dove questa storia è ambientata. 

In un piccolo villaggio di uomini, l'ultimo prima della grande pianura e lontano dalle città in costante espansione, gravava un'oscura calamità. Ogni anno, durante gli ultimi giorni di Gennaio, uomini e donne si rinchiudevano nelle loro piccole case per proteggere i loro bambini dal sopraggiure di una strega malvagia che, si diceva li divorasse durante le notti più buie e fredde. Nessuno l'aveva mai vista in carne ed ossa ma molte erano le voci che circolavano sul suo conto. Abitava in una grotta nel profondo del bosco, ed appena il sole tramontava sull'ultimo giovedì del mese di Gennaio, sbucava fuori affamata e stanca dei rigori dell'inverno. Proprio in quel momento raccoglieva tutte le sue forze, e con la fame che la rendeva più cattiva e vorace, correva verso il villaggio più vicino per saziarsi degli innocenti. Si diceva fosse molto vecchia, tuttavia era ancora molto agile grazie alle sue lunghe gambe che le permettevano di fare grandi balzi da un'albero all'altro e confondersi tra essi. Magra e stiracchiata, era come l'ombra di una betulla mossa dal vento, pallida,  fredda come un corpo che marcisce sotto terra e dagli occhi neri come la sua anima. Altri ancora raccontavano avesse l'abilità di trasformarsi in un merlo con un'unica penna bianca ma a quasiasi versione si scelga di credere, tutti concordava sul fatto che si chiamasse Giubiana. Ora, nessuno rammenta più da cosa derivi quel nome infernale, e neanche i più anziani sanno darle un'origine ma come ad ogni cosa legata ad un arcano passato, tutti provavano timore per quell'antica presenza. Quell'anno il mese si era rivelato particolarmente nevoso e freddo ma nostante le temperature glaciali, la prima notte di Gennaio in una piccola casa vicino al bosco nacque una splendida bambina. La madre, originaria del luogo, conosceva bene le storie dei suoi antenati e non volendo rischiare la vita della sua piccolina, si ingegnò per ordire una inganno alla vecchia megera. La mattina dell'utimo giovedì del mese si recò al mercato per acquistare i soliti beni che la terra o il pollaio, di propietà del marito, non potevano garantirle: riso e carne di maiale. In quell'occasione decise di comprare, con i risparmi tenuti per la nascita della figlioletta, una costosissima spezia ricavata dai pistilli vermigli di un fiore orientale che l'erbaria del villaggio rimediava dalle tribù nomadi dei Mori che solo un paio di volte l'anno attraversavano quelle terre per recarsi a Milano e poi a Venezia. La stessa sera, la donna preparò tre porzioni di risotto con la luganega una per lei, una per il marito e la più abbondante per la Strega, impreziosendola con il caro zafferano. Il sole stava ormai tramontando, la donna si affrettà a mettere fuori dalla finestra il piatto con la prelibata pietanza quando sentì tutti i rumori del bosco quietarsi come sono un incantesimo...la strega si era svegliata! Il marito si affrettò a sprangare porte e finestre, spegnere le candele di cera d'api che erano ormai ridotte a moccolini e infilarsi nel letto, sotto le coperte, stringendo a sè moglie e figlia. Il silenzio regnava sovrano, solo a brevi tratti si sentiva il crepitio delle braci nel caminetto, rosse come il sangue. Quella notte non si doveva dormire, quella notte si poteva soltanto pregare. Intanto nel bosco iniziò a soffiare un forte vento. Gli alberi scricchiolavano come le ossa artritiche di un vecchio sotto le avvizzite mani di Giubiana che afferravano nervose un ramo dopo l'altro. I suoi sensi soprannaturali avevano fiutato l'odore di nuove ed innocenti prede ma anche qualche cosa a lei sconosciuto e incredibilmente irresitibile. I suoi denti marci bramavano la carne tenera di un infante ma quel profumo esotico che percepiva nell'aria le stimolava l'aquolina. La saliva le bagnava le labbra secche e rotte dal gelo mentre proseguiva nella sua corsa frenetica. In breve tempo e a grandi falcate raggiunse il villaggio scoprendo subito la fonte di quell'inebriante odore. Scivolò furtiva nell'ombra, veloce e leggera come un uccello. Sul davanzale della finestra di una misera casetta, faceva trionfo un ricco piatto di risotto, dall'insolito colore giallo, arricchito da grandi bocconi di salsiccia. La vecchia non si preoccupò dell'insolito colore del cariosside e si deliziò del pasto così a lungo che le prime luci dell'alba fecero capolino dalle colline a est. La Giubiana realizzò solo allora di esser caduta in un tranello ma le spade di luce rossa del sole all'orizzonte la trafissero prima che facesse in tempo a scappare, riducendola ad un mucchio di cenere spazzata dal vento. All'interno della casa l'uomo e la donna, che dormivano tranquilli con la piccoletta fra loro, si accorsero che ormai era mattina e che la guardia, duramte la sera, era fallita. La notte sembrò essere trascorsa placida e tranquilla ma la sorpresa più grande fu quando la donna, aprendo la finestra di casa, trovò il piatto svuotato e una nuvola di fuliggine svanire nella brezza mattutina. Fu quel segno a sussurare al cuore della giovane madre che il suo piano per eliminare la strega aveva avuto successo. Da quel momento il villaggio visse in pace e in tranquillità e per onorare la vittoria sulle forze del male e la sicurezze per la vita delle nuove generazioni, la notte della morte della strega vengono bruciati fantocci di saggina e stracci per conservarne memoria."

 

La figura della strega è sempre stata vista come incarnazione delle forze del male. Qui, in particolare, vuole rappresentare il caos universale e la forza selvaggia della natura che in condizioni estreme colpisce sempre chi è più debole e indifeso, Bruciare la Giubiana oggi vuole essere la rappresentazione materiale della volontà dell'uomo nel riportare ordine ed equilibrio nelle proprie vite ma anche scacciare l'ombra che l'inverno ha teso sugli uomini e il conseguete avvicinarsi della primavera.

 

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